Nel settembre 2015, nel corridoio che porta alla cucina dell’OdinTeatret, I found myself in front of Lorenzo Gleijeses and Mirto Baliani,it,They were in residence,it,intent on developing materials developed previously with the choreographer Michele Di Stefano,it,They took advantage of the opportunity to show them also to Julia Varley that,it,distillarle,en,On this material arose by the imagination and individual experience,it,He asked me to observe the "materials" of Lorenzo and Mirto,it,I was disconcerted,it,There were only six movements repeated maniacally in the space in infinite variants,it,My attention faded until it turned off totally,it,I explained it to Lorenzo,it,Lorenzo asked me if he could show me the development of materials when I would find myself in Italy,it,Right,pt. Erano da noi in residenza, intenti a sviluppare dei materiali elaborati in precedenza con il coreografo Michele Di Stefano. Approfittavano dell’occasione per mostrarli anche a Julia Varley che, come regista, ha un rapporto di lavoro con Lorenzo sin dal 2002.
Lorenzo mi sta simpatico. Ha delle qualità umane e professionali che mi toccano. Paziente nei confronti del lavoro, è capace di indovinare cosa il processo stia indicando, pronto ad abbracciare una situazione inaspettata nonostante non riesca a dominarla con la ragione. Possiede la più grande virtù di un attore: sa resistere alla tentazione di accontentarsi del primo risultato.
Lorenzo è un attore anfibio, capace di vivere nelle vaste acque del teatro tradizionale e sulle isole galleggianti del Terzo Teatro. Son of art, appena diciottenne, Lorenzo si lasciò “traviare” e si gettò in un percorso di “lavoro su sé stesso” guidato da Julia. Il training a cui si sottomise – un apprendistato del corpo-mente e della voce tipico dell’OdinTeatret e molti altri gruppi teatrali – sfociava in una drammaturgia d’attore. Con questo termine intendo la capacità da parte dell’attore di creare autonomamente materiali scenici – modi di muoversi, camminare, comportarsi, parlare, scrivere o selezionare brani di prosa o poesia, improvvisare scene, fissarle, distillarle. Su questo materiale sorto dall’immaginazione e dall’esperienza individuale, si fonde gradualmente il testofinale, dando così nascita al personaggio.
Potrei quindi dire che esiste un teatro che lavora peril testo, interpretandolo e adattandolo a contingenze storiche ed estetiche a noi vicine; e un teatro che lavora con il testo la cui forza è una delle tante che compongono lo spettacolo, un organismo vivente che sprigiona energia.
Un giorno Julia, a causa di un impegno fuori dal teatro, mi chiese di osservare i “materiali” di Lorenzo e Mirto. Rimasi sconcertato. Erano solo sei movimenti ripetuti maniacalmente nello spazio in infinite varianti. La mia attenzione si affievolì fino a spegnersi totalmente. Lo spiegai a Lorenzo: non riuscivo a scorgere niente in quei movimenti astratti. L’unica vaga associazione l’avevo avuta quando era al suolo e si contorceva come uno scarafaggio rovesciato sul dorso. Scherzando gli dissi che avrebbe potuto chiamare il suo spettacolo La metamorfosidi Kafka.
Diceva Meyerhold che non bisogna mai scherzare con i pedanti, perché prendono tutto alla lettera. Lorenzo non è un pedante. Cosa sia, lo potete immaginare quando il giorno dopo, sempre nello stesso corridoio, mi pregò di vedere come aveva adattato i suoi materiali al testo della Metamorfosi. Durante la notte aveva registrato il testo di Kafka che adesso, nella parte finale, una voce fuori campo interpretava durante le sue contorsioni. Il risultato era embrionico, non capivo se fosse maschio o femmina, che cosa volesse diventare, se avesse vitalità per crescere durante i futuri mesi di gestazione. Ero però, impressionato dalla determinazione di Lorenzo e Mirto che nel giro di una notte avevano trasformato una battuta ironica in realtà scenica: una presa di posizione.
Osservai il loro lavoro ancora un paio di volte commentandolo vagamente. Da parte mia vi era una sconfinata simpatia per quei due stacanovisti nottambuli, e nessuna voglia di lasciarmi coinvolgere. Al momento di lasciare Holstebro, Lorenzo mi chiese se poteva mostrarmi lo sviluppo dei materiali quando mi sarei trovato in Italia. Certo, risposi, ben sapendo quanto sia difficile trovare momenti liberi in una tournée con l’OdinTeatret. Lo presi in giro: tradiva il coreografo con un regista? Replicò serio che immaginava di dare due destini diversi a quei sei movimenti astratti. Mi piacque la sua definizione di tradimento: scegliere un destino diverso.
Nella primavera del 2016 Lorenzo mi chiamò al telefono: eravamo disposti, io e Julia, a dare una masterclass pubblica? Lui avrebbe presentato i materiali della Metamorfosie noi due saremmo intervenuti da bravi registi: accorciato, modificato, proposto, elaborato dettagli, affilato ritmi, suggerito intonazioni. Insomma, una prova aperta al pubblico, poche ore, una sola serata. Il Festival Internazionale di Napoli era interessato a inserirla nel suo programma.
Durante quella serata alla Galleria Toledo a Napoli nel giugno del 2016, mi resi conto del lungo cammino che Lorenzo e Mirto avevano percorso dopo Holstebro. Il minuscolo embrione era cresciuto, ostentava fattezze e cadenze sue, un profilo di intarsi dinamici ed evocativi con una potenzialità di immagini che stuzzicavano la voglia di accompagnarne il loro sviluppo.
Così Lorenzo, Mirto, Julia ed io – e l’infaticabile alter ego factotum Manolo Muoio – decidemmo di far crescere lo spettacolo insieme. Convalidammo il titolo: Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa. Sarebbe stata una creazione collettiva. Ci arrovellammo il cervello per scoprire nel nostro calendario brevi parentesi per incontrarci e modi per procedere anche a distanza. Whatsapp ed email, video e skype possono aiutare, ma non trasmettono energia che pulsa. Su Lorenzo e Mirto incombeva la responsabilità di esplorare e far crescere le avverabili incarnazioni dell’embrione. Era loro compito aggiungere testi, inventare scene, musiche, introdurre altri partner – oggetti o gadget tecnologici. La vera difficoltà era trovare dei periodi, anche brevi, per annullare i duemila chilometri che ci separavano e ripristinare l’intensa intimità di lavoro che permette di applicare il principio essenziale: plasmare, capovolgere, tranciare. Togliere è aggiungere, aggiungere è togliere. Era una situazione totalmente insolita e spiazzante per me, abituato ad accompagnare la crescita di uno spettacolo giorno dopo giorno durante molti mesi.
Riuscimmo a lavorare insieme cinque giorni a Roma al Teatro Quirino nel giugno 2017 e per un periodo altrettanto lungo a Napoli nel marzo 2018. Lorenzo venne a Holstebro una settimana nel settembre dello stesso anno. Alla fine, sempre a Napoli, ci ritrovammo per nove giorni a novembre 2018. Lorenzo continuava a lavorare in Italia con Mirto e Manolo e spediva via WhatsApp regolarmente a Julia e a me nuovi testi o modifiche di scene già fissate, ricevendo in cambio commenti e indicazioni.
Quando si prepara uno spettacolo, esiste sempre un momento della verità. Così viene chiamato durante una corrida il confronto decisivo tra toro e toreador che con una rapida sapiente stoccata squarcia con la sua corta spada il cuore dell’animale. In teatro il momento della verità è di solito l’incontro con gli spettatori. Ma non sempre. A volte è in tutt’altre circostanze che l’attore rivela il suo impegno artistico e il suo spirito di sacrificio verso l’embrione che ha nutrito fino a dargli un’autonoma identità di finzione teatrale, di realtà che dice.
Il momento della verità avvenne tra il 23 e il 29 giugno 2018. Ancora una volta Il Festival di Napoli aveva appoggiato il progetto di Lorenzo e compagnia. Durante una settimana una trentina di attori, registi e drammaturghi potevano seguire le prove della Giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa.Fu al NEST, Napoli Est Teatro, nell’’accogliente casa di questo intraprendente collettivo, che ebbe luogo una “mente collettiva”. Nel bando di partecipazione si spiegava cosa fosse:
In teatro, possiamo parlare di “mente collettiva” quando un gruppo di persone motivate è impegnato in un processo creativo che non miri a realizzare un progetto già chiaramente definito. Una “mente collettiva” integra differenti specializzazioni, vari gradi di esperienza e diversi livelli di responsabilità in un processo di assemblaggio simile a quello che si verifica in una mente individuale alle prese con l’invenzione: improvvisi cambi di direzione, deviazioni, capacità di sfruttare scoperte improvvise e inaspettate, slittamento fra differenti livelli di organizzazione (pre-espressivo, drammaturgia organica, drammaturgia narrativa, invenzione dello spazio, universo musicale, etc.). La “mente collettiva” investe la medesima quantità di energia tanto nel programmare quanto nel cercare di scoprire come demolire i suoi stessi programmi.
Dopo aver assistito alle prove, Participants will meet to ask questions and discuss the work of the day with Eugenio Barba and his collaborators and will have the opportunity to suggest changes and new directions,it,During the tests,it,He said the truth,it. Durante le prove, fili narrativi sempre nuovi emergono, si mescolano e vengono smarriti. Allo stesso tempo la “mente collettiva” cerca di approfondire ed elaborare i materiali già sviluppati. Vengono proposte nuove soluzioni, tecniche e tentativi che possano svelare dove questi materiali potrebbero condurre, quali nuove storie innescare e quali potrebbero essere i finali più appropriati.
Erano passati tre mesi da quando a marzo il nostro quintetto aveva avuto cinque intensi giorni di prove in cui avevamo stabilito la struttura da cui distillare la fase finale dello spettacolo. Ci eravamo lasciati dando a Lorenzo e Mirto mani libere per apportare ulteriori proposte. Al NEST, anticipavo il piacere delle novità con le quali Lorenzo mi avrebbe sorpreso. Rimasi costernato. In un impeto di creatività, Lorenzo e Mirto avevano sfasciato e riplasmato l’intera struttura dandole, ai mei occhi, tutto un altro senso.
Dopo la passata, il silenzio durò a lungo. Sentivo alle mie spalle l’impatto che lo spettacolo aveva provocato nei partecipanti della mente collettiva. Julia paventava le mie reazioni. Lorenzo e Mirto attendevano fiduciosi un apprezzamento per la notevole trasformazione che erano riusciti a realizzare.
Come dire che mi sentivo tradito? Che parole usare per esprimere il rammarico per un’aspettativa profonda che era stata gabbata? Cosa era scomparso dalla versione precedente che avevo mantenuto in vita dentro di me per mesi e mesi, limando un particolare, una pausa, un atteggiamento?
Chiesi a Lorenzo il motivo del radicale cambiamento nella struttura che avevamo concordato. I suoi argomenti erano pertinenti e i risultati ne dimostravano l’efficacia. Le reazioni dei partecipanti ne erano la prova. Ma a me mancava il disagio e l’irritazione che mi creava la lettura del testo di Kafka. Adesso l’assurda storia di un uomo che diventa insetto non destava più in me fastidio, scuotimento scettico di testa, sbigottimento, quasi panico, qualcosa che mi riguardava direttamente pur non capendone chiaramente il motivo. Era la parte rettile del mio cervello che non reagiva più? Era la metafora che rimaneva solo metafora concettuale, artisticamente ben confezionata, ma che non mordeva più la carne. Fu una spettatrice, una volta, a darmi questa definizione, questo metro di misura di uno spettacolo.
Spiegai a Lorenzo e Mirto che dovevamo dimenticare la loro versione e ricostruire quella precedente. In quel momento ammirai Lorenzo e ne apprezzai la forza d’animo. Replicò solamente: d’accordo, cerchiamo di ricostruirla. E ci riuscimmo durante quella settimana grazie al suo sforzo sovrumano.
A Lugano, città che in passato ospitava gli anarchici italiani in esilio, un giorno Julia incontrò un amico che le chiese: è vero che Eugenio sta tradendo i suoi attori e fa uno spettacolo fuori dal suo teatro? Diceva la verità:per 55 anni ho messo in scena solo gli attori dell’OdinTeatret e i maestri asiatici del Theatrum Mundi Ensemble. Perché ho tradito questa mia abitudine, vocazione o pigrizia?
Vi sono tradimenti che sono piacevoli e tradimenti che sono una fuga. Tradimenti che sono una forma di rinnovamento o la scelta di un destino diverso. Ma il tradimento di Julia e mio con Lorenzo, Mirto e Manolo è stato un ritorno a casa, al mio mondo. A quale mondo appartiene il mio teatro? Se fosse un elemento – terra, acqua, fuoco, aria – sarebbe il mare. Non conosco l’arte di rimanere a galla da solo. Allora cerco la mano di un altro – un individuo disperato, fiducioso, ambizioso o ingenuo, ferito profondamente o che vuole scappare da sé stesso. È un individuo pronto a spingere il mare insieme a me verso quel muscolo che pompa sangue. E quando esausti sentiamo che è impossibile, il mare è una goccia che cola azzurra sulla gota di uno spettatore.
Suona sentimentale, ma lo sforzo ne vale la pena.
(Eugenio Barba)